Giustizia climatica e diritti dei migranti con Giorgio Brizio

Giorgio Brizio

Nato a Torino nel 2001 – dopo il G8, dopo il crollo delle Torri Gemelle come ci tiene a dire lui – ma di origini siciliane. Laureando in Scienze Internazionali per lo Sviluppo e la Cooperazione, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. Attivista e autore.

Ti definisci “attivista dei diritti nell’epoca dei rovesci”. Quali sono i rovesci a cui ti riferisci?

I rovesci sono il periodo complesso in cui viviamo, con la crisi climatica, ecologica, ma anche sociale, umanitaria, sanitaria, in parte democratica e adesso anche bellica. 

È un periodo difficile soprattutto per le persone più povere nei paesi più poveri, ma in generale è uno dei periodi più complessi che l’umanità abbia affrontato dall’arrivo di homo sapiens. Però è anche molto challenging, ci mette alla prova, è un periodo di sfide. Quindi abbiamo, come comunità, la possibilità di cambiare adesso delle cose, e se non lo facciamo ora andremo incontro ad una situazione difficile. 

Io mi occupo principalmente di crisi climatiche e migrazioni. Entrambe sono due crisi dei diritti umani, e anche la COP27 in Egitto ce lo dimostra. Tutto rientra nel concetto di giustizia climatica, che posso sintetizzare con quello che io dico nel mio libro, ossia che di fronte a questa tempesta intersezionale ci sono persone che stanno sullo yacht e persone che stanno sulla zattera, con responsabilità e conseguenze diverse. 

Possiamo pensare a tanti dati: forse quello più emblematico è che in un mondo di 8 miliardi di persone,  100 aziende (100 singoli) da sole sono responsabili del 71% delle emissioni globali e questo ci fa rendere conto dell’assurdità e della sperequazione in cui ci troviamo.

Io mi occupo di questi temi specialmente attorno al Mediterraneo centrale, sud Sicilia, nord Tunisia e Libia, una delle aree più terribili del pianeta. Un rapporto dell’organizzazione meteorologica mondiale uscito di recente evidenzia come dal 1990 l’Europa si sia riscaldata il doppio rispetto al mondo, eppure la questione climatica la percepiamo come qualcosa di lontano nello spazio e nel tempo.

Il Mediterraneo centrale è molto particolare per due motivi. Il primo riguarda il suo essere un Hotspot climatico, si riscalda più del resto del pianeta, siamo arrivati a +1,2 °C a livello globale, mentre nel mediterraneo a +1,58 °C l’anno scorso, e potrebbe essere tra i cinque posti nel mondo che si riscalda di più. I primi due sono i poli. Questo dovrebbe toccarci da vicino. Il secondo motivo è che da 8 anni a questa parte è tra le frontiere più letali del pianeta. Un rapporto dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) evidenzia che più del 50% delle persone a livello globale muore nel Mediterraneo.

Questi sono i motivi per cui mi occupo di questi due temi.

Perché sei diventato attivista? Cosa ti ha spinto a muoverti in prima persona?

È successo un po’ per caso. A fine gennaio 2019 ho visto un storia su Instagram in cui c’era scritto “presidio per il clima” e mi son detto “andiamo a vedere”. Non c’era scritto nemmeno Fridays For Future all’epoca. Sono andato con alcuni amici in Piazza Castello, a Torino, e non c’era nessuno. Poi dopo 20-30 minuti è arrivato qualcuno ma eravamo pochissimi. Ed è iniziato tutto lì. 

Conoscevo già le conseguenze del cambiamento climatico, ma associavo la crisi climatica alle api, agli orsi polari e poi ho capito che la crisi climatica significa parlare di noi, delle persone, spesso lontane da noi, ma anche vicine. 

Ultimamente sono andato a conoscere proprio le persone toccate direttamente dal cambiamento climatico in Italia. Ad esempio i pescatori a Mazara del Vallo, gli agricoltori a Latina, quelli nell’agro-pontino, chi lavora nelle risaie in Piemonte, gli apicoltori a Treviso o i gestori degli impianti sciistici. Ci sono già tante persone che in Italia subiscono le conseguenze di questa crisi, molte consapevolmente e altre meno. Tutti le subiamo un po’. 

Questa associazione “clima-persone”, “clima-diritti”, mi ha spinto a studiare. 

E poi mi è scoppiata la bomba in mano. Il primo febbraio del 2019 eravamo 20 “sfigati”, mentre il 15 marzo 2019 a Torino eravamo oltre 30 mila persone. Non so spiegare come sia accaduto. Si tratta anche di trend, momenti storici specifici. Era un altro momento, prima della crisi energetica, della guerra, della pandemia. Da lì ho capito che dovevo continuare. 

Lato migrazioni e Mediterraneo, nel 2019 c’è stato il caso Open Arms. Io ho registrato e pubblicato un video su Instagram, che tuttora è l’unico social che uso per fare un po’ di educazione, comunicazione e attivismo. Nel video dicevo ad Open Arms: “sappiate che a terra ci sono tante persone che sono dalla vostra parte e che vi sostengono”. Il video è stato molto ripreso, non so bene perché, da Repubblica, Michela Murgia, Saviano. Da lì mi sono detto che forse potevo fare qualcosa di più. 

Non avevo nessun contatto, così ho iniziato a scrivere alle pagine delle varie ONG, come Mediterranea. Ed è iniziata un’avventura molto bella e arricchente. 

Io non faccio attivismo perchè credo sia giusto, lo faccio perchè mi piace un casino! Credo anche, in modo un po’ presuntuoso forse, che sia anche nostro compito far vedere che ci piace, perchè finchè l’attivismo verrà visto come qualcosa che viene fatto solo da persone nerd che passano il tempo a studiare e scrivere documenti, non sarà mai accattivante e soprattutto inclusivo.

Giorgio Brizio

In cosa consiste la tua pratica? In che modo porti avanti la tua lotta?

Io faccio parte di un movimento, Fridays For Future, sono un tassello di un mosaico più ampio. Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere più persone possibili. 

Erica Chenoweth nella sua bibbia che si chiama “Why civil disobedience works” ha analizzato 353 conflitti e ha dimostrato come la non violenza abbia funzionato di più della violenza. Ed è il motivo per cui noi come movimento siamo non violenti verso le persone. Ora c’è tutto un dibattito interno sulla violenza contro le cose, ad esempio Extinction Rebellion ha bloccato l’aeroporto dei jet privati in Olanda, la domanda è: quella sulle cose è una violenza che possiamo tollerare? 

Sempre la Chenoweth ha dimostrato che quando si coinvolge il 3,5 % della popolazione si è sempre vinto, si è sempre riusciti ad arrivare all’obiettivo. Sembra un dato piccolo, però è tanto. 

Quindi quello che attivamente provo a fare è quello che mi riesce meglio: provo ad incontrare persone, a parlare, e cerco di essere collante, di fare rete, che è fondamentale. Fino a due anni fa sarebbe stato impensabile che Fridays For Future andasse in supporto alla nave Humanity, invece oggi non è così, questo è il potere dell’intersezionalità. Quel concetto fondamentale per cui una serie di problemi del nostro tempo hanno un’origine e una matrice comune, e quindi è anche uno strumento di risoluzione comune. Basti pensare ad alcuni studi bellissimi sul fatto che estendere i diritti porti la diminuzione di emissioni di CO2. 

Non c’è una pratica specifica su cui io sono nerd, cerco di raggiungere il più alto numero di persone, e pormi in una posizione di dialogo aperto, tranquillo, non pensando di avere la verità in tasca. Questa di fatti è una sfida del nostro tempo, l’altra è uscire dalle nostre bolle, che al massimo possiamo allargare un po’.

Hai scritto e pubblicato nel 2021 il libro “Non siamo tutti sulla stessa barca. Le sfide del nostro tempo agli occhi di un ragazzo”. Da dove nasce questo libro?

Nel libro ho parlato delle cose di cui mi occupo, crisi climatica e migrazioni.  Ci sono capitoli più simili a saggi, altri meno. L’idea era dare uno strumento che potesse arrivare a chiunque per aiutare a capire il cambiamento climatico, il movimento per il clima, il Mediterraneo e le migrazioni e far capire che le persone che decidono di investire il loro tempo per imbarcarsi sono assolutamente normali.

C’è qualcuno che ti ha ispirato?

Nessuno mi ha ispirato a fare attivismo, però tante persone della mia famiglia mi hanno spinto ad essere curioso, che è quello che dico sempre ai ragazzi che incontro in classe, essere curiosi e scomodi. E quindi penso a mia nonna, che è nata negli anni trenta del ‘900 e che in un periodo in cui non era assolutamente comune ha visitato 104 paesi del mondo, ha viaggiato moltissimo. 

Io sono nato a settembre del 2001, quindi non c’ero al G8 di Genova, però mi sento un po’ figlio del G8, perché mia madre aspettava me in quel momento, ma lei rimase a Torino, mentre mio padre era a Genova a manifestare. Poi decise di tornare a Torino proprio perché mia madre era incinta. Mi sento figlio del G8 non solo per questa storia familiare, ma anche per i contenuti. 

Nel G8 di Genova c’erano già dei temi importanti che in parte sono tornati, ma 20 anni dopo è tornata proprio la mobilitazione, bloccata e spazzata via da quello che Amnesty International definisce la più grave violazione dei diritti umani dalla II guerra Mondiale. 

Adesso però mi viene da dire questo: queste COP in parte stanno fallendo. 

I Paesi non stanno facendo i loro compiti a casa. A livello globale stiamo andando nella direzione opposta, le emissioni stanno aumentando in modo vertiginoso.

Si stima che entro il 2030 le emissioni globali possano aumentare del 10%, quindi stiamo veramente fallendo. Dall’altra parte però credo che il movimento per il clima sia troppo esteso per essere fermato. A Glasgow abbiamo visto che siamo tanti e tante.

Quali suggerimenti daresti ad unə ragazzə che ha voglia di diventare attivista?

Trovare la cosa che gli/le piace. Io sono rimasto in FFF perchè ho trovato un gruppo in cui mi sono trovato molto bene e senza il quale non sarei riuscito a continuare. Questo vale in tutte le cose, nei giochi di squadra, a lavoro… Ci sono poi tanti temi di attualità. Io credo che questo periodo vada visto come un’occasione, è un periodo in cui abbiamo la possibilità di cambiare le cose. Il mondo è a un bivio, lo diceva anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres alla COP27. Così andiamo verso il disastro climatico. 

Io credo che se non è vero che siamo tutti sulla stessa barca, è vero che una barca la possiamo costruire tutti insieme.

Sono ottimista, ma non sono ceco. Subiremo delle conseguenze impattanti. Non è detto che risolveremo queste cose. Ma tutto quello che facciamo può portare a salvare delle vite. Non è nero o bianco, ma possiamo fare un pezzo di strada assieme e nel mentre camminiamo possiamo fare del bene a noi stessi e agli altri.

Consigli di lettura su questi temi?

Jeremy Rifkin, Un Green New Deal globale. Il crollo della civiltà dei combustibili fossili entro il 2028 e l’audace piano economico per salvare la Terra, Mondadori, 2019.

Jonathan Safran Foer, Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi, Guanda, 2019.

Extinction Rebellion, Questa non è un’esercitazione, Mondadori, 2020.

Carola Rackete, Il mondo che vogliamo, Garzanti, 2019.

Alessandra Sciurba, Salvarsi insieme. Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità, Ponte alle Grazie,  2019

 

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