La partecipazione di tante studentesse ha rappresentato uno dei punti di forza di questa iniziativa, dimostrando come ambienti educativi inclusivi e collaborativi possano abbattere le barriere che spesso allontanano le giovani donne dalle discipline STEM. Le ragazze e i ragazzi hanno accolto con entusiasmo questa opportunità, portando avanti progetti che non solo riflettono la loro creatività, ma che aspirano anche a generare un impatto concreto nella società.
È essenziale decostruire tutti i paradigmi culturali che hanno relegato il femminile a margini strutturali. Le STEM, tradizionalmente percepite come dominio maschile, devono essere riformulate come spazi aperti, dove il contributo di ogni individuo possa essere riconosciuto non in base al genere, ma al valore intrinseco delle idee e delle capacità.
Le STEM non sono solo discipline: sono il cuore pulsante del progresso tecnologico, economico e scientifico. Eppure, come mostrano recenti statistiche, in Italia le donne che studiano materie STEM sono meno del 40%. Questo squilibrio non è solo un riflesso delle barriere culturali, ma un’occasione mancata di includere prospettive diverse e indispensabili.
Il concetto di “leaky pipeline”, il “tubo che perde”, descrive la tendenza di molte giovani donne ad abbandonare progressivamente percorsi di studio e carriere STEM lungo il loro percorso. Non è una questione di talento – le capacità delle ragazze nelle STEM sono comprovate – ma di un sistema che non offre supporto, modelli e incentivi sufficienti. Ogni anello di questa catena, dall’educazione primaria fino al mondo del lavoro, richiede l’impegno attivo di educatori, famiglie e istituzioni.
Un punto centrale di questa trasformazione è l’impegno attivo degli uomini. Chimamanda Ngozi Adichie, in “Dovremmo essere tutti femministi”, ci ricorda che il femminismo non è una lotta esclusivamente femminile, ma una causa umanitaria.